Un tempo, come raccontano i nonni di oggi, il periodo che precedeva la Pasqua era particolarmente sentito e nelle case si era parecchio indaffarati.
Si facevano grandi pulizie per l'arrivo del parroco a benedire, si seguivano con fervore le funzioni religiose, ci si preparava spiritualmente e materialmente alla rinascita.
Il luogo della casa più popolato era la cucina. Durante la settimana santa si preparavano i cibi e le prelibatezze che si potevano gustare per le feste pasquali. Le donne della famiglia si mettevano all'opera, non importa che fossero bambine, giovani, madri, nonne. Ognuno aveva il suo compito. Impastare e infornare per ore. Le vicine, a volte, si riunivano in un'unica casa in cui il forno a legna ardeva dal mattino presto. Si impastavano fino a sessanta uova per preparare rustici, i tipici panzerotti al formaggio detti "fiatoni" in dialetto santacrocese, vari tipi di biscotti – all'acqua, al vino, all'uovo – e dolci paste secche. Immancabile, poi, era la "pizza doce", il dolce pasquale per eccellenza: una torta di pan di spagna farcita con crema all'uovo e decorata col "naspro" – una pasta di albume e zucchero – e confettini colorati. Occasione unica nell'arco di un anno gustare un dolce così!
Per i fidanzati, niente uova di cioccolato da scambiarsi, ma il futuro sposo portava in dono all'innamorata un oggetto d'oro, più o meno prezioso a seconda delle possibilità, mentre lei era solita regalare al futuro marito una camicia e la pigna, un dolce molto elaborato, che poteva richiedere fino a quaranta uova e sei strati di crema.
La festa era tanto più felice quanto più impegnativa era stata la preparazione e l'attesa. E quando il silenzio del venerdì santo era colmato dal suono cristallino delle campane a festa della domenica, la felicità riempiva i cuori, semplici e vivi. Un giorno di comunione effettiva con la famiglia, i vicini, gli amici. Un senso di comunione pieno e appagante che viaggiava di pari passo all'arrivo della primavera e al risveglio della vita.
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